Queste note che seguono sono un estratto di un articolo dell’avv. Francesca La Rocca pubblicato sul Magazine Industria Como – Dicembre 2019 “Speciale Assemblea Generale 2019”.

Negli ultimi anni si sono verificati vari episodi di crisi sul web in cui diversi brand sono stati oggetto di un’ondata di commenti negativi sui social a causa di una campagna pubblicitaria sbagliata o di un nuovo prodotto lanciato sul mercato non apprezzato dai consumatori o, ancora, di post o di commenti dei loro vertici ritenuti offensivi .

A volte si è trattato di veri e propri shaming mediatici che causano danni di non poco conto anche  a livello mondiale alla brand reputation delle aziende coinvolte.

Questo problema non è una novità per il mondo imprenditoriale, ma di certo negli ultimi anni, con l’avvento di internet, prima, e con i social network, poi, richiede una maggiore attenzione.

E’ quindi evidente, che è di fondamentale importanza per un’azienda avere una strategia per poter far fronte immediatamente a un evento che possa danneggiarne la reputazione in modo da limitarne i danni.

Ovviamente sarà però opportuno fare una valutazione caso per caso, essendo per alcune situazioni importante rispondere tempestivamente a un post critico sull’impresa, mentre altre volte sarà invece meglio non prendere posizione in modo da far passare in secondo piano la notizia, non accendendo il dibattito.

In certi casi, però, i commenti e le critiche sul web possono essere tali da richiedere un’azione legale affinché venga accertata la lesione della reputazione dell’impresa e/o del suo marchio per ottenere un ordine di rimozione del contenuto lesivo.

Proprio all’inizio di quest’anno il Tribunale di Roma ha pronunciato una sentenza con cui ha dichiarato che alcune espressioni postate dagli utenti su un gruppo Facebook fossero lesive della reputazione e dell’onore di Reti Televisive Italiane, pesantemente criticata per aver messo in onda un cartone animato giudicato da alcuni utenti di Facebook non adatto ai ragazzi in quanto non sufficientemente culturale. Il Tribunale, in questo caso, ha riconosciuto responsabile per le espressioni diffamatorie e denigratorie il social network, intimandogli di rimuovere immediatamente tali frasi e condannandolo a un risarcimento del danno.

Interessante, è anche la recentissima decisione della Corte di Giustizia Europea del 3 ottobre 2019 che, in un caso di diffamazione avvenuta online nei confronti di una persona fisica, ha riconosciuto che l’ordine dell’autorità giudiziaria, a un prestatore di servizi di hosting (nel caso di specie Facebook), di rimuovere le informazioni e le espressioni lesive della reputazione possa comprendere anche le informazioni diverse da quelle effettivamente contestate ed indipendentemente da chi ne sia l’autore,  il cui significato sia identico a quelle dichiarate illecite. Nonché i messaggi il cui contenuto rimane sostanzialmente invariato rispetto a quello che ha dato luogo all’accertamento dell’illecità. Tale sentenza è inoltre particolarmente degna di nota poiché ha dichiarato che il provvedimento di un giudice nazionale possa ordinare la rimozione delle espressioni oggetto dell’ingiunzione a livello mondiale.

Questa decisione, che chiaramente emana principi applicabili anche nei casi in cui il soggetto leso non sia una persona fisica, ma una società, permetterà alle aziende di poter agire davanti ad un’autorità nazionale ottenendo provvedimenti con effetti a livello mondiale e non strettamente limitati ai contenuti e post di cui erano a conoscenza al momento dell’instaurazione del giudizio.

In questo modo, la tutela della reputazione, dell’immagine e dell’onore del brand potrà essere più efficacemente garantita.